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WOLFMAN (THE) - recensione

Titolo: WOLFMAN (THE)
Titolo originale: Wolfman
Regia: Joe Johnston
Interpreti: Benicio Del Toro, Emily Blunt, Anthony Hopkins, Simon Merrells, Gemma Whelan, Mario Marin-Borquez, Asa Butterfield
Anno: 2009

Tornato alla dimora paterna per indagare sulla tragica e misteriosa scomparsa del fratello, un giovane aristocratico viene assalito e ferito da misteriosa belva che semina il terrore nei boschi circostanti. Sopravvissuto all'attacco, ben presto il malcapitato realizza che qualcosa in lui è cambiato... Rifacimento del classico in bianco e nero con Lon Chaney jr. Cruento e avvincente quanto basta da non far rimpiangere l'originale.

 

Ancora lupi mannari per questo remake del classico Universal interpretato da Lon Chaney jr. (figlio del celebre attore Lon Chaney, interprete di pietre miliari del cinema fantastico come Il Fantasma Dell’Opera). Si tratta però di un rifacimento alla lontana, che si muove dal plot originario per raccontare un’oscura vicenda di torbidi segreti familiari, dove gli orrori soprannaturali si fondono con l’indagine poliziesca e l’affresco storico (fra le idee curiose della sceneggiatura, c'è il legame delle stragi compiute dal mostro con i delitti di Jack The Ripper che insanguinarono i vicoli di Whitechappel).

Benicio Del Toro si cala senza difficoltà nel ruolo che fu di Chaney jr, ma se l’incipit non si discosta molto dall’originale (c’è perfino la stessa trovata della zingara che predice sciagure al protagonista, ormai colpito dalla maledizione), la narrazione prende presto una strada diversa. Il gore abbonda: da antologia l’attacco del licantropo ai danni di un accampamento di gitani fra arti mozzati, sparatorie e ululati alla luna.

 

Per il make-up della belva il veterano Rick Baker (al quale dobbiamo gli effetti speciali del classico Un Lupo Mannaro Americano A Londra) si è volutamente ispirato al look utilizzato per il capostipite degli anni '40, ma gli fx delle trasformazioni devono parecchio al film di Landis, ovviamente migliorati dal ricorso alla grafica digitale (peraltro ritorna l’idea che mutare forma debba essere estremamente doloroso per il wolfman) che oltretutto conferisce al mostro un’andatura a balzi da far invidia all’incredibile Hulk.

 

Se la prima parte del film ha una struttura da horror classico, la seconda scivola nello psicodramma, col protagonista che supera il trauma infantile causato dall’apparente suicidio della madre fino a apprendere terribili quanto insospettati retroscena sul tragico evento. Anthony Hopkins ricopre stoicamente il ruolo ambiguo del vecchio padre, con un pizzico di gigioneria ma non senza una certa eleganza recitativa.

 

E le scorribande della belva per le strade della metropoli ricordano anch’esse in maniera palese il cult di John Landis, con la folla che fugge terrorizzata e la polizia che apre inutilmente il fuoco sulla creatura. Solo l’amore di un’innocente potrà spezzare la linea di sangue del lupo mannaro… Convenzionale quanto si vuole, bisogna comunque riconoscere che il film è diretto con un certo mestiere e tiene desta l’attenzione.

 

La descrizione del villaggio con i suoi abitanti bigotti, fanatici e superstiziosi è una palese strizzata d’occhio alle vetuste produzioni Hammer dei tempi che furono e, l’ispettore Abberline interpretato da Hugo Wearving non può non risultare simpatico, con la sua ironia e le sue deduzioni degne di Sherlock Holmes.

 

Chi non gli offrirebbe una pinta, quando al pub del paese rintuzza con invidiabile stile i bifolchi inclini al linciaggio? In tempi di palese sfiducia verso le autorità come quelli che viviamo attualmente, non è poco.



scritto da: Corrado Artale


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