a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v w x y z 123




ORPHAN - recensione

Titolo: ORPHAN
Titolo originale: Orphan
Regia: Jaume Collet-Serra
Interpreti: Vera Farmiga, Peter Sarsgaard, Isabelle Fuhrman, CCH Pounder, Jimmy Bennett, Margo Martindale, Karel Roden
Anno: 2009

Una coppia in crisi tenta di superare il trauma legato alla tragica perdita di un figlio adottando una bambina proveniente dalla Russia. Apparentemente dolce e bisognosa d'affetto, la piccola Esther rivelerà presto un'indole violenta ed evidenti tendenze psicotiche. Quale segreto si nasconde nel suo passato?

 

Thriller a forti tinte, piuttosto convenzionale ma non privo di qualche riuscito momento di suspense. Ancora un flm sui bambini assassini, territorio assai battuto dalla narrativa del terrore, sia in ambito letterario (pensiamo a classici come Il Piccolo Assassino, di Ray Bradbury; o a I Figli Del Grano, di Stephen King) che cinematografico (Ma Come Si Può Uccidere Un Bambino? di Serrador su tutti).

 

Quello di ORPHAN è un soggetto che non offre particolari sorprese, in verità. Nulla a che vedere con le produzioni iberiche a base di adolescenti inquieti e fantasmi, giusto a scanso di equivoci. Siamo dalle parti dei soliti thriller spaventevoli a base di genitori depressi e figli adottivi dall’aria tanto graziosa ma capaci di qualsiasi nefandezza nel momento in cui volti loro le spalle.

 

In verità, il film non è girato male: gli attori sono in parte (su tutti spicca la malefica bambina), i dialoghi abbastanza curati, l’approfondimento psicologico non manca, la suspense c’è. Per un po’ sembra addirittura che la sceneggiatura abbia abbastanza coraggio, non lesinando sui dettagli sgradevoli (da antologia del morboso la scena in cui la baby-psycho tenta di sedurre il patrigno), ma da sola non basta a riscattare un fortissimo senso di deja-vù, presentando un taglio sotto molti aspetti convenzionale che sembra già presagire i futuri passaggi televisivi “per famiglie” (ovvero diamoci pure dentro con gli effettacci, ma non perdiamo di vista il politically correct).

 

Infatti i pochi spunti interessanti di una vicenda abbastanza telefonata franano miseramente in un finale a sorpresa tanto inverosimile quanto canagliesco, che ai risvolti morbosi preferisce un grand guignol fasullo e hollywoodiano, che rimette tutto a posto e salva i sacri valori familiari a danno della sanguinaria mocciosa.

 

Confezione elegante, ma l’insieme è troppo patinato e finto per poterlo prendere sul serio.



scritto da: Corrado Artale


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