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BYLETH IL DEMONE DELL'INCESTO - recensione

Titolo: BYLETH IL DEMONE DELL'INCESTO
Titolo originale: Byleth Il Demone Dell'Incesto
Regia: Leopoldo Savona
Interpreti: Mark Damon, Claudia Gravy, Aldo Bufi Landi, Franco Jamonte, Marzia Damon, Alessandro Perrella, Antonio Anelli
Anno: 1971

Il giovane Lionello è morbosamente legato alla sorella e parrebbe collegato ad una serie di efferati omicidi di donne commessi nel villaggio vicino. E' tutta opera del demone Byleth, del quale Lionello è succube sin dall'adolescenza. Tardo gotico italiano inizio anni '70, poco avvincente ma non privo di momenti suggestivi.

 

La produzione di pellicole gotiche italiane realizzate all’inizio degli anni '70 testimonia in maniera evidente i profondi cambiamenti sopravvenuti nel cinema horror del periodo, non solo nel Belpaese. I vecchi canovacci a base di vampiri, stregonerie e castelli maledetti sono oramai in via d’estinzione e sopravvivono solo per essere arricchiti da dettagli morbosi e truculenze assortite, in ossequio alle nuove tendenze dell’horror/thriller occidentale. Così, in BYLETH IL DEMONE DELL'INCESTO sono presenti nudi gratuiti ed efferatezze, linguaggio esplicito e rappresentazioni grafiche di sesso e violenza e, a giudicare dal titolo, anche questa pellicola di Savona sembrerebbe assecondare tale filone.

 

In realtà, gli aspetti morbosi ed erotici sono più suggeriti che realmente mostrati, almeno nell’edizione italiana (ai cinefili più accorti non è sfuggita una versione tedesca del film, assai più esplicita nelle scene di sesso). Il tema è quello dell’incesto e non mancano nudità assortite, ma entro i limiti concessi dal cinema pruriginoso del periodo. Corredano la narrazione alcuni delitti all’arma bianca commessi da un misterioso killer in guanti di pelle nera, che sembrano strizzare l’occhio alla moda nascente del thrilling argentiano.

 

L’ambientazione e la trama rimandano in maniera diretta ai gotici del decennio precedente di Margheriti e Freda (non dimentichiamo che L’Orribile Segreto Del Dottor Hichcock narrava le gesta ignobili di un necrofilo, che all’inizio degli anni '60 non era un tema così scontato!), fra antiche maledizioni, castellani in preda a raptus di origine diabolica e citazioni letterarie più o meno colte (nell’apparizione su un candido destriero del demone Byleth non è difficile cogliere riferimenti ad uno dei più suggestivi racconti di Edgar Allan Poe, Metzengerstein).

 

A parte qualche sgozzamento in Argento Style il grand guignol è poco insistito e, sebbene ancorata ad una vicenda satanica, la sceneggiatura appartiene al cinema sulfureo che ha popolato il grande schermo prima del trionfo de L’Esorcista di Friedkin, che avrebbe cambiato per sempre la fisionomia mefistofelica nell’immaginario dello spettatore, sostituendo a fascinosi Incubi e Succubi ripugnanti ridde d’indemoniati con gli occhi gialli e il vezzo di spargere liquami verdastri al loro passaggio.

 

Se il luciferino cavaliere rimanda al sopracitato raccontino di Poe, il gesto estremo con cui il giovane protagonista annienta il proprio Lato Oscuro (e di conseguenza anche sé stesso) è figlio di tanta letteratura decadente che trova ne Il Ritratto Di Dorian Gray di Oscar Wilde la voce più rappresentativa.

 

Alle atmosfere del racconto nero e fantastico il copione fonde quelle del romanzo d’appendice, raccontando le tragedie legate all’impossibile coronamento di un sogno d’amore che le convenzioni sociali all'epoca vietavano.



scritto da: Corrado Artale


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