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NASCONDIGLIO (IL) - recensione

Titolo: NASCONDIGLIO (IL)
Titolo originale: Nascondiglio (Il)
Regia: Pupi Avati
Interpreti: Laura Morante, Sidney Rome, Burt Young, Venantino Venantini, Rita Tushingham, Treat Williams, Yvonne Sciò, Peter Soderberg
Anno: 2007

Un'ex-degente di un ospedale psichiatrico diventa proprietaria di un vecchio edificio che vorrebbe adibire a ristorante. La scoperta di un antico delitto consumato fra le vecchie mura e una misteriosa presenza renderanno il suo soggiorno movimentato... da Pupi Avati, autore de La Casa Dalle Finestre Che Ridono e Zeder, un thriller gotico all'insegna della suspense.

 

Sebbene il cinema di Avati abbia una dimensione solare ed affettiva, gli appassionati del macabro sanno benissimo quanto la fantasia del regista romagnolo sia in grado di spingersi anche verso territori oscuri e raccapriccianti. E’ quindi con soddisfazione che salutiamo il ritorno dell’autore al thriller/horror con questo IL NASCONDIGLIO, che originariamente avrebbe dovuto intitolarsi Il Nascondiglio Delle Monache (pare sia stato accorciato per evitare di confonderlo con un erotico. Mah…).

 

E' un giallo all’insegna della pelle d’oca, interpretato dalla brava Laura Morante e da uno stuolo di caratteristi del cinema che fu (spiccano i nomi di Burt Young e del nostro Venantino Venantini). La sceneggiatura è un atto d’amore verso i classici del terrore cinematografico e letterario: se l’idea di un protagonista psicolabile e quindi incapace di distinguere i fantasmi della propria mente da possibili presenze autenticamente soprannaturali rimanda a La Scala Della Follia di Don Sharp, le premesse da ghost story con il nuovo inquilino segnato da un lutto familiare e costretto a confrontarsi con un delitto che affonda le radici nel passato fanno pensare al The Changeling di Peter Medak e, la hell house con i suoi passaggi segreti e interstizi (fatti apposta per celare mostruosità innominabili o offrire rifugio a chi tenti di sfuggire ad altri orrori) sembra uscita dalle pagine di Lovecraft o Robert Bloch.

 

Sebbene l’intreccio finisca col dilungarsi sugli elementi da detective story, i momenti da cardiopalma non mancano: l’atmosfera è assai azzeccata (merito anche delle suggestive musiche di Riz Ortolani, che per Avati aveva già composto la colonna sonora di Zeder) e non manca tutto l’armamentario tipico delle storie di spettri (sussurri, porte che cigolano, rumori provenienti dalla soffitta ecc.) con inevitabili autocitazioni (difficile non cogliere i riferimenti a La Casa Dalle Finestre Che Ridono). Finale grandguignolesco, fra effettacci e rivelazioni agghiaccianti.

 

In sostanza, una felice "storia di matti", come Avati ama definire le proprie favole nere. Dalla sceneggiatura l’autore ha anche tratto un romanzo, edito da Mondadori. 



scritto da: Corrado Artale


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