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L'ISTITUTO - recensione

Titolo: L'ISTITUTO
Titolo originale: The Institute
Regia: Stephen King
Interpreti:
Anno: 2019

È notte fonda a Minneapolis, quando un misterioso gruppo di persone si introduce in casa di Luke Ellis, uccide i suoi genitori e lo porta via in un SUV nero. Bastano due minuti, sprofondati nel silenzio irreale di una tranquilla strada di periferia, per sconvolgere la vita di Luke, per sempre


Alla verde età di 72 anni King torna al centro tematico della sua opera e sforna un capolavoro.
Personaggi, scene, dialoghi di questo romanzo vi rimarranno in mente per giorni, anche dopo che avrete finito di leggerlo.
Ho impiegato 48 ore ad arrivare alla fine, come ai vecchi tempi. Un paio di giornate in cui per me le scene o i dialoghi o i personaggi descritti da King sono stati più reali di quello che mi succedeva intorno. Il lavoro, le complicazioni del lockdown per il Covid-19. E anche dopo mi sono rimasti in mente a lungo.

 


All'inizio, devo dire la verità, il romanzo non mi prendeva tanto. Non aspettatevi i fuochi d'artificio nelle prime pagine. È dopo qualche decina di pagine, che non potrete più smettere di leggere.

Qual è il segreto di questo romanzo?
Come fa a essere originale nonostante tratti un tema ampiamente già visto?

Si tratta di ragazzini dotati di poteri paranormali che vengono rapiti e finiranno per ribellarsi a chi li opprime. Non è uno spoiler; trovate questa sinossi in quarta di copertina, presa da un articolo di Publishers Weekly. (Chi non guarda nemmeno la quarta di copertina, per paura di rovinarsi la lettura?)

Una storia che King ci è ha raccontato molte volte, con alcune varianti, (CarrieL'incendiariaShiningLa Zona Morta, I Lupi del CallaDoctor Sleep) al punto che, come autore, potrebbe essere il tipo di narrazione che lo identifica di più.
Nessuna storia è stata raccontata una volta per tutte, ma su questa sembra quasi che lui abbia messo un sigillo, una particolare forma di copyright. Non è un caso che serie televisive come Stranger Things abbiano, perfino nella grafica del titolo, chiari riferimenti alle sue opere.

L'Istituto è sempre la stessa storia? Potrebbe essere stata scritta negli anni'80?
Non proprio.
Cambiano i personaggi, ma soprattutto è originale il modo in cui ci viene raccontata.
La forza dirompente di questo romanzo è il realismo.
Questo è ciò che lo rende perfettamente adatto ai nostri tempi.

 

 

King non ha bisogno di pigiare il piede sull'acceleratore. Ci mostra personaggi buoni e cattivi, ed entrambe le categorie sono verosimili. Li sentiamo come persone che abbiamo già incontrato, che incrociamo tutti i giorni.
Sono umani. Troppo umani. Sia quando vincono, che quando perdono.
Anche i poteri paranormali dei ragazzini, in genere, non sono eccezionali. Molti di loro riescono al massimo a spostare con la mente gruppi di moscerini in volo, o il cartone di una pizza (vuoto).
Corriamo fino all'ultima pagina con angoscia e un vago senso di malessere, che nemmeno la vendetta dei “buoni” potrà cancellare.
Perché quello che abbiamo letto è vero.

 


È vero dal punto di vista letterale. Ci sono uomini e donne che, per obbedire agli ordini, non avrebbero problemi ad abituarsi a qualsiasi comportamento disumano. Ad alienarsi dalle proprie azioni, a considerarle comunque giustificate. Che arriverebbero a vedere un bambino di sei anni rapito e tenuto prigioniero dentro un istituto come una cosa. “Non un vero bambino”. E quindi potrebbero fargli di tutto.
Non c'è bisogno di andare ad Abu Ghraib o Guantanamo per vedere militari che ridono torturando i prigionieri accusati di terrorismo. Nè di salire su una macchina del tempo e tornare ai tempi del Terzo Reich. Nè di guardare le espressioni dei partecipanti alle manifestazioni pro-Trump (al quale King dedica un paio di frecciate efficaci). Sono accanto a noi, tra i nostri colleghi di lavoro, tra le nostre conoscenze. Non hanno mai sentito parlare dell'esperimento di Milgram ma ne confermerebbero in pieno i risultati.

 


Quello che racconta L'Istituto è vero anche da un punto di vista metaforico.
Cosa vuol dire crescere isolati e deboli in una società spietata? Non ci sembra mai di vivere tra ingranaggi che sono stati costruiti per sfruttare le nostre capacità, per spremerci fino alla fine, finché è possibile?
Questo è il grande tema che sta dietro molte delle opere di King, da La lunga marcia, che fu il suo primo libro in assoluto, e che iniziò a scrivere nel 1966–67, durante il suo primo anno alla University of Maine e cioè otto anni prima della pubblicazione di Carrie (La lunga marcia fu dato alle stampe solo nel 1979).

 

 

Ecco perché King con questo romanzo ancora una volta sa coinvolgerci e spaventarci: fa intendere che questa storia (poteri paranormali a parte) è assolutamente possibile. Che il mostro peggiore di tutti, ancora una volta, è dentro di noi.

E che lui, proprio come il ragazzino Nick, uno dei più riusciti personaggi del libro, non ha paura di dirlo.



scritto da: Andrea Berneschi


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