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MIDSOMMAR - recensione

Titolo: MIDSOMMAR
Titolo originale: Midsommar
Regia: Ari Aster
Interpreti: Florence Pugh, Jack Reynor, William Jackson Harper
Anno: 2019

Con Hereditary, il suo primo lungometraggio, Ari Aster si era posto l'obbiettivo di spaventarci: avvalendosi di strumenti originali ed efficaci c'era riuscito appieno. Midsommar sembra essere stato girato con tutt'altro scopo: quello di rappresentare un lungo incubo angoscioso. Che non sempre spaventa, ma di sicuro comunica disagio. 

 


Da qualche parte in Svezia c'è Hårga, una comunità che si regge su regole molto pittoresche, un incrocio tra rituali pagani e trovate new age. Quando dei turisti americani ci arrivano per caso (ma è davvero per caso?) capiscono di essere finiti su un'isola fuori dal tempo e dalla ragione, un territorio che rappresenta nel nostro mondo globalizzato qualcosa di pressoché inconcepibile: un'altra civiltà.

 


È vero, i ragazzini del villaggio guardano Austin Powers e, se proprio non mi sbaglio, i turisti continuano a usare i loro computer portatili (parleremo dopo delle inconguenze nella trama); Hårga resta però una società del tutto diversa dalla nostra, fondata su assiomi che ci sono alieni. 

 


Nel nostro mondo postindustriale il dolore di vivere lo affronti singolarmente, come individuo: al massimo, se hai fortuna, trovi una famiglia e degli amici che oltre a rappresentare formalmente la loro funzione la svolgono sul serio. Chi rimane davvero solo, o per una disgrazia o perché è circondato da persone con cui ha poco da condividere, come la protagonista, sarà privo di supporto. Litighiamo per le tesi di laurea, per motivi di egoismo, diciamo bugie, etc. Non per questo siamo dei mostri, o almeno non lo siamo dal punto di vista del cinema horror. 

Se sei un abitante di Hårga, invece, tutta la comunità partecipa davvero, ogni giorno, alle tue angosce e alle tue gioie. Certo, non sei libero. Non hai privacy, non puoi scegliere come vivere, come morire e chi amare: lo decidono gli anziani. Ma se questa comunità esistesse davvero, siamo sicuri che non richiamerebbe dal nostro mondo migliaia di uomini e donne ? Ad Hårga non esistono i più elementari diritti umani, ma nemmeno esiste la solitudine. 

 


Il modo migliore per restare delusi dalla visione di Midsommar è aspettarsi un classico film horror, o anche uno molto originale in stile Hereditary.

Non è rispettato nessuno stilema del genere. Niente buio: i personaggi si muovono all'interno di un eterno giorno luminoso, quasi abbagliante. Nessun villain, tantomeno villain carismatici. Se c'è violenza, è sempre accompagnata da sorrisi e canti, o al massimo da un rispettoso silenzio. Se avviene quello che noi definiremmo un omicidio, non contano il carattere della vittima e quello del carnefice, e nemmeno i loro nomi: ad Hårga, si tratta solo di un rituale. Pochi conflitti (anche di quelli interiori), nessuna fuga, nessuna situazione senza via di scampo, suspense pressoché a zero. Poche scene splatter, anche se restano valide e d'effetto. Angoscia? Quella sì, in quantità. 

 

 

Per girare un film del genere ci vuole un coraggio notevole. E anche una discreta capacità di immaginare e di inventare. Si possono fare tutti i riferimenti che volete a The Wicker Man (1973) e a The Sacrament (2013): questa è una pellicola molto diversa, sia come struttura che come atmosfera.

 

 

È innegabile che ci siano alcune incongruenze logiche (i turisti avevano telefoni, computer? perché non li hanno usati? e poi: il governo svedese è all'oscuro di tutto?) e almeno un difetto (perché decine di rituali diversi l'uno dall'altro, se non per offrire qualcosa di interessante a noi spettatori?).

 

 

Nonostante questo, è difficile non uscire soddisfatti dalla sala cinematografica. 

Midsommar non sarà adatto allo spettatore in cerca di brividi, ma è un film perfetto per tutti gli amanti del weird.

E raggiunge appieno quello che dovrebbe essere l'obbiettivo di ogni film di questo genere: ci mostra un mondo che non avevamo ancora mai visto né immaginato.



scritto da: Andrea Berneschi


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