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SUSPIRIA - recensione

Titolo: SUSPIRIA
Titolo originale: Suspiria
Regia: Luca Guadagnino
Interpreti: Tilda Swinton, Dakota Johnson, Mia Goth
Anno: 2018

Ogni recensione a Suspiria di Luca Guadagnino dovrebbe cominciare necessariamente con una chiara premessa, che dice: questo non è un remake. 
Sono così convinto di questa affermazione che mi spingerò oltre: non è neanche, come molti scrivono, una libera reinterpretazione del capolavoro argentiano del 1977. Guadagnino ha preso da Argento il titolo, l'idea alla base del soggetto (una scuola di ballo che nasconde segreti atroci) e uno spunto della mitologia delle tre madri.  Basta così.
 

Suspiria 2018 (giunto in Italia con un ritardo per cui sarebbe giusto indignarsi, e proiettato nelle multisale a orari assurdi) va analizzato da sé, senza affiancargli per forza l'altro; dovremmo fare lo sforzo di considerarli film che solo per caso hanno lo stesso titolo. Diversa la trama, l'estetica, diverso il carattere della protagonista, diverso il senso generale delle due opere. 
 

Ecco un'idea del plot. Una ragazzina va dallo psicanalista, il dottor Klemperer, e sostiene che il corpo di ballo di cui fa parte nasconde una congrega di streghe.
Il medico propone al pubblico un primo tentativo di razionalizzazione: forse lei chiama streghe le sue maestre di danza perché ha intuito qualcosa, perché sono delle donne che nascondono dei segreti. Di quale complotto fanno parte? Si tratta di terroriste? L'ipotesi non sarebbe affatto campata in aria, perché siamo nella fredda Berlino del 1977, nei giorni in cui la Rote Armee Fraktion è impegnata nel rapimento Schleyer... Ma questa pista non porta da nessuna parte. Ne spunta una seconda: e se quelle donne credessero di essere davvero delle streghe? Anche se sappiamo che la stregoneria non esiste, potrebbe essere il pretesto per compiere degli atti criminali. Plagiano le loro giovani allieve? Le torturano? Sono coinvolte in rituali che contemplano l'omicidio?
 
La razionalità è il principale filtro col quale interpretiamo tutto quello che ci circonda, e fa parte dei ferri del mestiere di ogni psicanalista o investigatore... è rassicurante, è solida, ci permette di vivere la nostra vita immaginando che abbia un senso.
Ma siamo davvero convinti che le forze che governano la cosiddetta realtà siano razionali? Al di là di obblighi, orari, stereotipi e convenzioni, si agitano oscuramente delle energie. Il desiderio e la repulsione. La rinascita e la morte. Libertà e schiavitù; il dominio, il potere. Sono i fili del nostro destino. È attaccandoci alle nostre pulsioni, ai nostri sentimenti, che sopravviviamo. C'è persino chi sa accettare una morte terribile, se riesce ad aggrapparsi a un bel ricordo d'amore.
 

Da molto tempo, probabilmente da secoli, alcune donne si sono riunite per ottenere libertà e potere. Ne hanno ottenuto così tanto che ormai se ne fregano di ogni contingenza politica. Hitler, Stalin, i funzionari di polizia ai tempi della guerra fredda: se ne fanno addirittura beffe. Le streghe possono ipnotizzare, proiettare illusioni, uccidere a distanza... Sono organizzate in una congrega che sta vivendo un momento difficile, divisa com'è tra le due fazioni capeggiate da Helena Markos e da Madame Blanc. Una parte importante in questa lotta l'avrà una nuova arrivata, del tutto estranea alle atmosfere gotiche europee... viene dall'America, dall'Ohio, addirittura. Ma per la danza ha molto talento.
 

Il regista accumula indizi, presagi, immagini inquietanti e deliranti, carica le scene di suspense (avvalendosi anche della splendida colonna sonora di Thom Yorke) e prepara la strada a un finale sorprendente e volutamente eccessivo. 
La forma che sceglie è perfettamente adatta al contenuto. Seguiamo lo sviluppo di una trama solida e definita, anche se lo spettatore deve fare lo sforzo di ricostruirla in modo attivo: non è un film per lobotomizzati che non sanno uscire dagli stereotipi del peggiore cinema commericale, né per quelli che affrontano la visione già prevenuti, o in malafede, o peggio ancora per fare un paragone con il film di Dario Argento. Per godersi appieno questo Suspiria bisogna vederlo senza preconcetti, gustandosi tutte le scene di danza contemporanea, i flash del delirio, le sottotrame, e soprattutto l'interpretazione delle attrici, tutte bravissime: Tilda Swinton in primis, che è da sempre strega per eccellenza, e poi Dakota Johnson, Mia Goth, Chloë Grace Moretz. Bisogna essere in grado di capire le parti razionali e abbandonarsi alla suggestione di quelle irrazionali.
 

Si tratta in definitiva di un potente horror d'autore, girato oltretutto da un regista italiano eclettico come Ridley Scott (e altrettanto bravo) ambientato in un luogo squallido e spaventoso, dotato di efficaci meccanismi genera-tensione. Ci sono morti orribili, c'è il tema del soprannaturale, ci sono delle belle scene di splatter. Nonostante questo, so benissimo che dopo la visione qualcuno farà ancora fatica a inserirlo nel canone dell'horror.
 

C'è da fare un discorso, a riguardo, che dura più o meno dieci righe.
Tutti noi, io per primo, a volte andiamo a mangiare nei fast food. Non fa bene, ma mica ti ammazza subito. Gli Hamburger e le patatine sono saporiti, il ketchup non è male. Costa pure poco. Basta andarci di rado, no?
Diventa un problema se la nostra dieta è composta esclusivamente di junk food, se ne siamo così assuefatti da essere incapaci di riconoscere il “vero” cibo.
L'horror commerciale odierno, coi suoi remake, i jumpscare buttati là un tanto al chilo, i personaggi piatti e i dialoghi stupidi, è l'equivalente cinematografico di ali di pollo fritte, patatine e cheeseburger. E forse, quello sì, ci sarebbe da chiedersi se rientri nel genere.
 

Suspiria, invece, è alta cucina horror. Buonissima e nutriente.
 

Colgo l'occasione per un ulteriore consiglio: riguardatevi il divertente, drammatico, sanguinario A Bigger Splash.



scritto da: Andrea Berneschi


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