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GIOCO DI GERALD (IL) - recensione

Titolo: GIOCO DI GERALD (IL)
Titolo originale: Gerald's Game
Regia: Mike Flanagan
Interpreti: Carla Gugino, Bruce Greenwood
Anno: 2017

In una casa isolata ai bordi di un lago c’è una stanza. Dentro la stanza una coppia di mezz’età è alle prese con un gioco erotico. Lei è incatenata al letto da due resistenti manette d’acciaio, lui le sta sopra. A un tratto l’uomo si piega su se stesso, mostra segni di sofferenza. È un infarto. La donna rimane sola. Le porte della casa sono tutte aperte. Nei dintorni gira un cane randagio molto affamato.



Questa è la storia, che tutti conosciamo.

La sfida che Mike Flanagan (Oculus, Il terrore del silenzio) ha affrontato era davvero ardua: rendere tutto ciò filmabile e credibile per lo smaliziato spettatore cinematografico del 2017.
Non ci sono dubbi: la prova è stata superata in maniera più che egregia. Il romanzo di King è diventato molto più di un film su un gioco erotico finito male. Molto di più che l’agonia di una donna incatenata. E non ha mai sfiorato, neanche per un fotogramma, l’idiota compiacimento sadico di alcune pellicole, anche recenti (ogni volta che devo definire cosa un horror non deve essere, mi viene in mente il pessimo Raze, in cui pure recita un’attrice del calibro di Zoe Bell).



Niente di tutto questo, insomma. Dunque, che cos’è Il gioco di Gerald? Senza spoiler, ecco qui la risposta. Anzi, le risposte.



È un film molto teso e molto profondo.
È la storia di un essere umano messo in una situazione al limite, e di una corsa contro il tempo in cui tutto si fa più difficile ogni minuto che passa.
È la storia di una mente che dialoga con se stessa e con i suoi fantasmi, attirati dalla solitudine, dal buio, dalla disperazione.
Che si perde, e che fa appello a tutte le sue risorse, anche al male che ha ricevuto dalla vita, per salvarsi.
Che accede a una dimensione interiore, all’interno della quale il sole non splende e tutto trasuda angoscia.
È una situazione grottesca che funge da cartina di tornasole, un luogo fuori dal mondo in cui si può osservare la cosiddetta normalità da un punto di vista "privilegiato".
È un portentoso inno alla libertà, contro tutti i tipi di manette fisiche e simboliche.
E soprattutto è un film dell’orrore come sempre ne vorremmo, che parla di cose vere, essenziali e sanguigne.



scritto da: Andrea Berneschi


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