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HO CAMMINATO CON UNO ZOMBIE - recensione

Titolo: HO CAMMINATO CON UNO ZOMBIE
Titolo originale: I Walked with a Zombie
Regia: Jacques Tourneur
Interpreti: Frances Dee, Jack Conway, James Ellison, Tom Conway, Edith Barrett, Christine Gordon, Theresa Harris
Anno: 1943

Dramma psicologico con venature horror. La storia avrebbe un potenziale altissimo, ma la sceneggiatura è sviluppata in modo un po’ troppo semplicistico. E’ comunque un classico di grande valore, anche per l’originalità del tema trattato, che all’epoca era cinematograficamente quasi sconosciuto. Narra le vicende di una giovane infermiera canadese che accetta di curare, in un’isola delle Antille, una donna bianca, ridotta in catalessi forse per un rito voodoo e, secondo i nativi, diventata uno zombie.

 

Sul fatto che sia a tutti gli effetti un film dell’orrore si potrebbe discutere fino allo sfinimento: in effetti il film di Tourneur è più che altro un melodramma amoroso (e tra le fonti di ispirazione fa capolino Jane Eyre) venato di magia nera e folklorismo esotico, mirato ad indagare nei recessi più oscuri e profondi dell’animo e della mente. Caratterizzato da un’atmosfera ferina, tesa e incontrollabile, il film è uno dei teoremi di Tourneur: l’uomo è un animale, che conserva ancora dentro l’istinto primigenio e la forza caotica della natura.

Tutte le sue regole sono semplici convenzioni che si è imposto per convivere all’interno della società, ma volente o nolente, sa ancora come liberarsene. Nei limiti (strutturali e, visti i budget di Val Lewton, produttivi) ma anche nelle estreme libertà concesse dal cinema di genere, Tourneur sa piegare la realtà alla sua fantasia fiabesca da romantico dell’Ottocento (si veda il volto spettrale del sonnambulo o tutto il finale), trasformando sogni e incubi per illuminare sugli aspetti più cupi e immanenti della condizione umana.

Horror esistenziale dunque, senza un’ombra di intellettualismo (se non opportuni accenti politici) e modernissimo nelle scelte cinematografiche (il sonoro con il frastornante rullo di tamburi) che ha il solo difetto di avere una sceneggiatura un po’ troppo semplicistica e che comunque anticipa di ben quaranta anni un altro grandissimo e sottovalutato horror: Il Serpente E l’Arcobaleno di Wes Craven.



scritto da: Roberto Donati


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