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IN LONTANANZA, UN BATTITO DI ALI NERE - recensione

Titolo: IN LONTANANZA, UN BATTITO DI ALI NERE
Titolo originale: In lontananza, un battito di ali nere
Regia: Usman T. Malik
Interpreti:
Anno: 2016

In lontananza, un battito di ali nere, prima opera di Usman T. Malik a essere tradotta in italiano (ad opera della coraggiosa e lungimirante Independent Legion Publishing), è composta da due racconti: Ishq e L'Entalpia di Vaporizzazione di una Peculiare Famiglia Pakistana, che fece vincere all'autore il Bram Stoker Award nel 2014.

 

 

Tre sono i motivi per cui ne consigliamo l'acquisto e la lettura:

 

 

1) L'autore valorizza la propria identità nazionale, che è anche un retroterra mitologico, immaginativo, culturale. Le due storie dell'antologia sono ambientate in Pakistan, suo paese natale  (attualmente vive in Florida). Sono pakistani non solo i nomi dei personaggi, le coordinate geografiche e i paesaggi, ma anche le tematiche affrontate: si parla di povertà, alluvioni, scontro tra "vecchi" valori e nuovo mondo globalizzato, persino di terrorismo (il secondo racconto è dedicato alle vittime della strage di Peshawar del 16 Dicembre 2014).

Intendiamoci, non abbiamo niente in contrario con quanti, nati e residenti fuori dagli Stati Uniti, scelgono di ambientare lì le loro storie (c'è chi lo fa con estrema bravura: pensiamo ad esempio all' ottimo Pietro Gandolfi o al "texano" Samuele Fabbrizzi); solo che in mani poco capaci (abbiamo in mente i nomi di altri autori, ma preferiamo tacere) l'ambientazione americana si risolve in cliché. Aggiungiamo il fatto che noi della Filmhorror apprezziamo sempre gli autori che, parlandoci delle loro terre, ci regalano un punto di vista orrorifico nuovo e originale (e qui potremo citare alcuni ottimi esempi cinematografici, dall'indonesiano Macabre, all'iraniano A girl walks home alone at night, al coreano The Host, al greco Norway, ai tanti film di Takashi Miike). Certo, nessuno scrittore horror può eludere l'influenza dei grandi narratori statunitensi, ma quando si scrive di ciò che si conosce meglio, come in questo caso, arriva netta la sensazione che quelle che stiamo leggendo sono storie nate dalla vita, non dalla televisione o da una tradizione horror importata.

 

 

2) Lo stile è originale e personale. Con parole semplici, ma inserite in frasi lunghe e tendenti all'ipotassi, l'autore sa offrirci anche all'interno della scena più cupa un lampo di poesia. Che si possa scrivere horror usando ricche metafore e un linguaggio colto, del resto, l'aveva già dimostrato il grande Clive Barker...

 

 

3) Il contenuto. Accanto a fantasmi, razze aliene e morti spaventose, questi racconti parlano di amore e morte, nostalgia di un passato preindustriale (nelle vicinanze del vicolo stretto vivono personaggi che sembrano usciti da un racconto di Verga) e orrore del mondo moderno (la malata di cancro), catastrofi ecologiche, povertà, speranza, passioni umane assortite.

Perché un bravo scrittore, anche se parte da quello che meglio conosce, riesce sempre a dare un valore universale alle sue parole, a renderle significative per lettori nati e cresciuti all'altra estremità del globo.



scritto da: Andrea Berneschi


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