
Titolo: OCULUS
Titolo originale: Oculus
Regia: Mike Flanagan
Interpreti: Karen Gillian, Brenton Twaites, Katee Sackhoff, Rory Cochrane, Miguel Sandoval.
Anno: 2013
Gli specchi e la copula sono abominevoli, perché moltiplicano il numero degli uomini: questo sostiene un filosofo in un famoso racconto di Borges. Numerose sono le leggende di ogni epoca e cultura che riguardano specchi magici o stregati; anche al cinema questa tematica non è del tutto inedita (quanti ne sono stati usati come metafora, simbolo o espediente narrativo? Basti pensare a una certa scena di Profondo Rosso). Solo in apparenza si tratta di oggetti comuni, immobili e inattivi; in realtà anche la più banale superficie riflettente di fabbricazione industriale a guardarla bene ha un’aria un po’ misteriosa ed è capace di un certo tipo di fascinazione, come se in qualche modo sapesse sfuggire al nostro controllo. Mike Flanagan, riprendendo lo spunto da un suo precedente cortometraggio del 2005, dedica il suo Oculus all’oggetto-specchio sfruttandone in pieno l’ambivalenza, e crea un film teso, elegante, praticamente perfetto nel suo genere.
Partiamo dalla trama: Tim e sua sorella Kailye portano ancora i segni dei tragici eventi accaduti undici anni prima, quando entrambi i loro genitori impazzirono e tentarono di ucciderli; dei fatti venne ritenuto complice anche Tim, che ha passato tutto questo tempo in un ospedale psichiatrico. A detta di Kailye, il solo responsabile di quella notte di follia è uno specchio stregato, proveniente nientemeno che da una residenza della famiglia reale inglese, che il loro padre aveva appena comprato e sistemato nel suo studio. I due fratelli ormai adulti, utilizzando un apparato di telecamere, sveglie, un’ancora collegata a una molla e appesa al soffitto e altre diavolerie tecnologiche, intendono distruggerlo. L’impresa sarà difficile: non solo lo specchio, come un vampiro, è capace di succhiare l’energia dalle piante presenti all’interno della casa e di far sparire gli animali, ma può alterare profondamente la percezione della realtà negli esseri umani…
Oculus è un film del quale si è parlato poco, che non spicca per la locandina, per il trailer e neanche per il titolo, al punto che potrebbe benissimo passare per uno dei tanti horror usa-e-getta che vengono sfornati di continuo con il proposito di fare cassa in modo facile. Non è così. Si tratta di un ottimo film, molto curato nella fotografia e nella regia e dotato di un discreto cast. Sembrerebbe anche uno slasher, ma in realtà si tratta di un horror psicologico.
Procedendo dalla prima parte alla seconda, mentre i colori si fanno più cupi e le luci si abbassano, assistiamo contemporaneamente a due storie (in un gioco, è proprio il caso di dirlo, di specchi): da una parte, nel passato, ci avviciniamo sempre più agli eventi luttuosi che hanno segnato la fine della famiglia, dall’altro, nel presente, alla resa dei conti finale con l’oggetto stregato. L’alternanza continua tra scene di undici anni prima (quando i fratelli erano piccoli e assistevano al progressivo scivolare dei genitori nella follia) e del presente (la lotta contro lo specchio) non disturba lo spettatore ma arricchisce la trama e contribuisce ad amplificare la tensione. Lo specchio non urla, non si muove, non si trasforma con la computer grafica, perché non ce n’è bisogno. Se ne sta semplicemente appeso a una parete, ed è proprio questo a renderlo inquietante.
Oculus è onesto, sobrio, intelligente e disturbante: quanto di meglio ci si possa aspettare da un film horror. Si vede che (in barba ai tanti snob sempre intenti a lamentare il declino del cinema) l’arte di girarli bene non si è perduta. Vogliamo assolutamente un seguito.