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GALILEE - recensione

Titolo: GALILEE
Titolo originale: Galilee
Regia: Clive Barker
Interpreti:
Anno: 1998

Il pregio principale di questo voluminoso romanzo, settecento pagine circa, è che riesce (e non è poco!) a catturare l’attenzione del lettore a dispetto del fatto che tra le sue pagine non accade quasi niente.  Per il resto, non si tratta decisamente della migliore opera di Barker.  Può aspirare invece a un altro primato, tra i libri dell’altalenante autore di origine inglese:  il podio riservato al “più atipico”.  

Galilee non è propriamente un romanzo horror, anche se nella copertina di qualche edizione sono riportate frasi che lo classificano come tale;  non fidatevi.  Ci sono degli elementi fantasy ma non sono quelli i più determinanti.  Nella struttura c'è qualcosa delle soap-opera, e  anche qualche aspetto da grande saga familiare, che l'avvicina in qualche modo a I Vicerè, Il Gattopardo e simili.  

 

Al centro della trama c'è lo scontro tra due famiglie;  anzi per essere precisi, ci sono le premesse di questo scontro.

La prima, quella dei Barbarossa, non è umana; i suoi appartenenti hanno totalmente o in qualche percentuale una natura divina.  Il capostipite, Hursek Nicodemus Barbarossa, ha un appetito sessuale smodato, è stato venerato in molti templi sulla Terra nel corso della storia dell’umanità, ed è attualmente in una condizione simile alla morte, seppellito presso le stalle della casa.  La sua compagna, Cesaria Yaos, anche lei oggetto di culto nei secoli, nonché ex-amante del presidente americano Jefferson, sta passando un periodo di depressione e di ritiro dal mondo.  Tra i figli “puri” troviamo Luman (ha aspetti psicotici, vive isolato dal resto della combriccola nella Casa del Fumo), Zabrina (obesa e senza personalità) e Marietta (lesbica, scatenata fino alla violenza). Della famiglia fa parte anche Maddox, il narratore, l’unico ad essere invecchiato negli anni perché figlio di Nicodemus e di una madre umana:  in pratica è un semidio.  Il primogenito invece, Galilee, completamente divino, non vive con il resto del clan nella grande casa progettata da Jefferson per Cesaria, ma si è allontanato dopo una serie di litigi ed è sempre in giro per gli oceani su una barca a vela.  I discendenti della famiglia divina non sono proprio come uno se li aspetterebbe:  diciamo pure che potrebbero rientrare tutti, più o meno, nella fantomatica categoria dei “falliti”.  Ma il loro problema principale, quello da cui tutti gli altri derivano, è la difficoltà che hanno nel trovare un senso, oggi, nel nostro mondo, alla loro natura divina.

L’altra famiglia, quella dei Geary, è forse la famiglia americana più potente in assoluto, una sorta di famiglia Kennedy (o Bush), piena di scheletri nell’armadio: depravazioni sessuali, complotti, omicidi.  In più i suoi membri sono misteriosamente legati alla famiglia Barbarossa:  le spose dei Geary hanno da tempo immemorabile il diritto a trascorrere una notte assieme a Galilee, una notte che le farà sentire amate, pulite, lontane dalla cupa atmosfera del loro clan almeno una volta nella vita.  


Tra echi biblici, scene erotiche, meditazione sui meccanismi che governano i destini degli uomini, storie collegate alla vicenda principale (che si svolgono al tempo della guerra civile americana o in un’epoca imprecisata e precristiana attorno al Mar Caspio) assistiamo al dispiegamento delle forze che preludono a una grande battaglia:  questa dovrebbe svolgersi nel seguito, preannunciato dall’autore, un romanzo che dovrebbe concludere la storia delle due famiglie.


Anche se Galilee scorre bene, il lettore non può evitare la sensazione di aver subito una specie di fregatura:  più che a un conflitto (che in tutta la migliore narrativa non dovrebe mancare) assistiamo a uno schieramento di personaggi (anche interessanti);  più che l’indagine su un mistero, ci vengono presentati una serie di enigmi che restano senza risposta;  più che una trama, abbiamo l’introduzione a un possibile ciclo di romanzi.    


Solo leggendo il seguito (se Barker decidesse di tornare su questa storia, cosa che siamo propensi a non dare affatto per scontata) ci potremmo ricredere.



scritto da: Andrea Berneschi


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