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MATANGO / IL MOSTRO - recensione

Titolo: MATANGO / IL MOSTRO
Titolo originale: Matango
Regia: Ishiro Honda
Interpreti: Akira Kubo, Kumi Mizuno, Hiroshi Koizumi, Kenji Sahara, Hiroshi Tachikawa, Yoshio Tsuchiya, Miki Yashiro
Anno: 1963

A conti fatti uno dei migliori film della Toho, che quindi risalta nella filmografia della casa di produzione giapponese. Anche perché interrompe la routine dei dinosauri atomici e dei mostri spaziali. Per più di un ora ci si annoia come al matrimonio di uno sconosciuto, ma gli ultimi dieci minuti sono tanto splendidamente visionari da valere il proverbiale prezzo del biglietto. Liberamente tratto dal racconto La Voce Della Notte di W. Hope Hodgson.

 

A bordo di uno yacht a vela si trovano sette persone: il professor Murai, la sua ragazza Akiko, l’uomo d’affari Kasai con la fidanzata Mami, l’esperto navigatore Sekeda, lo scrittore Yoshida ed un marinaio. L’imbarcazione incappa in una terribile tempesta e naufraga in un’isola deserta, non segnata sulle mappe nautiche e perennemente avvolta dalla nebbia. Il luogo è disabitato, non c’è nulla da mangiare, nessun frutto, nessun animale da cacciare. Finite le riserve di scatolame trovate a bordo di un relitto arrugginito, agli uomini ed alle donne non rimane che cibarsi di uno strano fungo chiamato Matango.

 

Bisogna avere la pazienza di Giobbe per arrivare in fondo a MATANGO che, per la prima ora abbondante, allo spettatore non offre altro che dialoghi bislacchi, attese interminabili e colpi di scena che non farebbero battere ciglio neppure a un iperteso, però forse è anche per questo che quando finalmente si arriva al dunque, la sorpresa giunge con l’effetto dirompente di un fulmine giù per il camino.

Mostruosi uomini fungo, paesaggi allucinati e un pizzico di adrenalina sono mescolati a perfezione e riescono a regalare dieci minuti tutt’altro che scontati, meritando così un posticino nella storia del cinema di fantascienza. Honda ancora una volta affronta il tema della mutazione, cercando però questa volta di mettere in risalto soprattutto le contraddizioni del suo paese. L’idea di trascinare i protagonisti in un progressivo tutti contro tutti viene qui usato per analizzare i lati oscuri della società urbana giapponese in pieno boom economico.

 Riguardo agli effetti visivi, non è male l’intuizione di confondere, nel verde della giungla, le ombre dei deformi uomini fungo e quelle dei naufraghi in cerca una via d’uscita dalla drammatica situazione, come in un gioco di specchi in cui tutti sono mostri e mostrizzati. Belli, come al solito, gli effetti speciali di Tsuburaya. In defintva, non certo un film travolgente, ma i contenuti non mancano.

Curiosità: Come è facile immaginare molti critici hanno visto in MATANGO anche un’accusa alle sostanze allucinogene, in special modo al peyote.



scritto da: Francesco Cortonesi


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