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TRUE DETECTIVE - recensione

Titolo: TRUE DETECTIVE
Titolo originale: TRUE DETECTIVE
Regia: Cary Fukunaga
Interpreti: Woody Harrelson, Mattew McConaughey, Michelle Monaghan, Tory Kittles
Anno: 2014

 

Louisiana, 1995. Il cadavere di una donna (drogata, torturata, violentata e strangolata) è stato abbandonato di fronte a un albero a formare una sorta di “quadro vivente”, la sua testa ornata da corna di cervo. Al caso vengono assegnati due detective, da poco in coppia alla Squadra Omicidi.

Il primo, Martin Hart (Woody Harrelson), è concreto, solido, si considera cristiano, ed ha sulle cose un punto di vista da uomo medio, praticamente terra terra. Il secondo, Rust Cohle (Mattew McConaughey), è invece anticonformista, ateo, incline alla speculazione filosofica. Come se non bastasse ha fatto una certa esperienza con le droghe, ed è uno straniero: viene dal Texas. Tra i due nascono dei contrasti, ma il loro è un sodalizio che sembra destinato a consolidarsi. Le indagini conducono verso il basso, il mondo della prostituzione, l’America rurale delle case prefabbricate e degli spacciatori di metanfetamina, ma la pista del satanismo spingerà a indagare anche strati della società ben più elevati.


Quanti sono i telefilm basati su una coppia di personaggi opposti? Molti, da X-Files a Nip/Tuck… Qui, è bene metterlo subito in chiaro, siamo davanti a qualcosa di molto profondo, che non si può liquidare con una semplice formula. Si capisce subito che True Detective (il titolo ricalca quello di un pulp magazine degli anni '20) va molto oltre il prodotto di intrattenimento, che si tratta di una serie d’autore.


I due investigatori non sono figurine di carta bidimensionali o stereotipi: vengono rappresentati in modo così efficace che allo spettatore basta che uno dei due faccia un' espressione, già nella prima puntata, per immaginarsi quello che pensa. Non sono dei modelli: entrambi sono imperfetti, a volte arrivano al punto da risultare odiosi. Nessuno dei due, però, difetta di coraggio e di una sincera spinta etica. Seguiamo le loro vicende su un doppio binario: nel 1995, ai tempi delle prime indagini, e diciassette anni dopo, nel 2012, quando il caso si riapre.

 

La vicenda degli omicidi è avvincente di per sé, ma presto ci accorgiamo che i due detective, le loro mogli e i loro figli, le vittime, le comparse, tutti, su questa terra piatta e mezza sprofondata nella palude, sono alle prese con qualcosa di molto più oscuro e pericoloso di un serial killer che uccide. Devono tirare avanti con le loro vite e cercare di salvare la propria parte migliore, mentre il Male si presenta con una faccia sempre diversa, il Tempo li stringe sempre di più tra le sue grinfie. E’ un mondo in disfacimento, nel quale l’Orrore si nasconde sotto le apparenze della normalità, il tradimento è sempre in agguato, Il Dolore non ha un riscatto né un senso.


Seguire le avventure di Rust e Marty, bisognerebbe essere degli snob per negarlo, non è del tutto dissimile dallo sprofondare nella lettura di uno dei grandi romanzi di Dostoevskij: per quanto i personaggi siano immersi in una trama da “giallo”, da “caso di cronaca nera”, ad essere in gioco sono i concetti di Bene e di Male, di Umano e di Non Umano, di istinto e di responsabilità; personaggi diversi portano visioni del mondo diverse, finché queste non si scontrano tra loro, e con la realtà.

 

True Detective chiede uno spettatore attento, che non abbia fretta di assistere a scene splatter o d’azione (arrivano dopo qualche puntata, e sono quanto di più adrenalinico ci si possa immaginare all’interno di un telefilm). Se la sceneggiatura è ottima (affidata allo scrittore Nic Pizzolatto, del quale abbiamo letto il bellissimo romanzo Galveston, e restiamo in attesa di altri) e la regia (Cary Fukunaga) è strepitosa, gli attori non si dimostrano da meno. True Detective è una serie eccellente, che ha il potere di catturare del tutto chi inizia a seguirla. Se le caratteristiche positive sopra elencate non bastassero, è stata progettata in modo che, nel caso di un rinnovo, cambierà completamente interpreti e storie.



scritto da: Andrea Berneschi


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