
Titolo: SNOWTOWN
Titolo originale: SNOWTOWN
Regia: Justin Kurzel
Interpreti: Daniel Henshall, Lucas Pittaway, Aaron Viergever, David Walker, Louise Harris, Keiran Schwerd
Anno: 2011
Nell’entroterra australiano (Salisbury North, un sobborgo di Adelaide) la vita scorre apatica e nel degrado. Non c’è niente da sperare, niente per cui impegnarsi, solo un accumulo di ore vuote scandite da sigarette, videogiochi e programmi sportivi alla TV. Il caso spinge tre ragazzini di una famiglia disgregata e, con ogni evidenza, afflitta da problemi economici, ancora più giù lungo la discesa che porta all’abisso: il fidanzato della loro madre, in sua assenza, fa loro delle foto porno. Non sappiamo se abusi anche di loro, ma è certo che da quel giorno niente sarà più lo stesso. C’è un periodo in cui l’uomo va in galera; quando torna scopre che il suo posto di capofamiglia è stato preso da un giovane barbuto chiamato John Justin Bunting. Questo si presenta come una figura positiva, una specie di salvatore della famiglia, ma col tempo dalle sue parole inizia ad emergere un odio feroce contro i pedofili, gli omosessuali (non fa nessuna distinzione), poi contro i drogati, gli yuppie rampanti e molte altre categorie di persone. Dapprima coinvolge James, il maggiore dei ragazzini abusati, in atti intimidatori (fare scritte sulle finestre del patrigno e buttargli contro la porta di casa alcune code di canguro tagliate), poi arriva alla violenza e all’omicidio… e finirà per prenderci la mano al punto che gli sembrerà giusto uccidere qualcuno solo perché “non ci faranno caso… quello non è nessuno”.
Ci si può chiedere perché il regista abbia voluto portare sugli schermi una storia vera (si tratta di una serie di omicidi realmente avvenuti in Australia tra il 1992 e il 1999) legata a temi difficili da affrontare come la pedofilia, la tortura e la violenza psicologica. Semplice voglia di fare cassa impressionando gli spettatori? Direi proprio di no. Snowtown (conosciuto anche come Snowtown murders) è un film terribile, nel quale l’atmosfera di palpabile violenza non è dovuta alle scene splatter (poche, in verità) ma è il risultato della magistrale recitazione degli attori (soprattutto Daniel Henshall e Lucas Pittaway) e della solidità della sceneggiatura. C’è una scena di tortura che lo spettatore si aspetta di vedere, ma che, per come è immaginata e girata, si rivelerà praticamente insostenibile. Anche la violenza sessuale è più suggerita nelle sue conseguenze psicologiche che mostrata (una violenza tra adolescenti è mostrata in una breve scena, senza alcun tipo di voyeurismo o enfasi). La colonna sonora ossessiva contribuisce a generare angoscia e straniamento.
Questo film è una discesa all’inferno che lascia scossi, forse anche disgustati, ma con una chiara certezza che il regista abbia qualcosa da comunicarci su violenza, responsabilità, potenzialità e debolezze dell’animo umano. Altra certezza è che abbia saputo comprendere a fondo la personalità del plagiatore Bunting, che maschera sotto i suoi progetti di “ripulire la società” solo un infinito desiderio di infliggere sofferenze e controllare sadicamente il comportamento di chi gli sta intorno. Bunting non è rappresentato come il classico serial killer hollywoodiano: non è una via di mezzo tra un superuomo e un demone, ma un essere squilibrato incapace di empatia, pieno di odio.
Consigliato a chi non abbia semplicemente voglia di svagarsi con un film su un gruppo di pazzi violenti (per questo, restando in Australia, consigliamo il godibile Chopper, in cui un Eric Bana incredibilmente sovrappeso interpreta il pluriomicida Mark Brandon Read) ma sia pronto ad assistere alla rappresentazione impietosa e senza scampo di una moderna tragedia.