
Titolo: TRE VOLTI DELLA PAURA (I)
Titolo originale: Black Sabbath
Regia: Mario Bava
Interpreti: Boris Karloff, Michèle Mercier, Lydia Alfonsi, Mark Damon, Susy Andersen, Jacqueline Pierreux, Glauco Onorato, Massimo Righi
Anno: 1963
Tre racconti del terrore presentati dal grande Boris Karloff per un’opera dai forti contrasti gotici: storie di telefoni che squillano in maniera ossessiva, vampiri e spettri vendicativi. Tutto l’immaginario del grande Mario Bava si offre allo spettatore, accompagnandolo nei tenebrosi meandri della letteratura horror con storie tratte da novelle di Snyder, Tolstoj e Cechov. Uno dei capisaldi del cinema horror italiano dell’epoca d’oro.
Icona dell’artigianato cinematografico, Mario Bava ha sempre avuto notevoli difficoltà a farsi apprezzare dal pubblico italiano mentre, paradossalmente, le sue opere venivano idolatrate e osannate dalla critica d’oltralpe. Non a caso, I TRE VOLTI DELLA PAURA è una coproduzione italo francese che può contare su un attore protagonista di fama internazionale come Boris Karloff, a cui spetta il compito di anfitrione nei tre episodi che compongono il film.
Il primo racconto, Il Telefono, è tratto da una storia di F. G. Snyder (nei credits originali è però erroneamente attribuito a Maupassant) e dispone di risorse irrisorie per scatenare la tensione narrativa: un’idea alquanto banale (una telefonata minatoria), un appartamento e un’attrice (la splendida Michèle Mercier) sono gli unici elementi che compongono questo segmento. Quasi una scommessa per Bava: realizzare una storia del terrore con pochissimi mezzi. Addirittura, inserisce a sorpresa un'allusione al lesbismo, tema a dir poco scabroso ed innovativo (per l'epoca) che inasprisce maggiormente l’atmosfera malsana del racconto.
Nel secondo episodio, I Wurdalak di Tolstoj, Bava si cimenta invece con l’orrore classico. Qua è la famiglia l’elemento scatenante del terrore, che evoca terrori atavici e maledizioni indissolubili dove l’amore diventa vampirismo e dove i vecchi e i bambini si trasformano in mostri assetati di sangue.
Da un certo punto di vista Bava anticipa di undici anni la visione della famiglia “mostro” che Tobe Hooper realizzerà nel suo The Texas Chainsaw Massacre. In questo contesto non possiamo non menzionare le splendide scenografie di Giorgio Giovannini e la bella fotografia realizzata dallo stesso regista in collaborazione con Ubaldo Terzano.
Il terzo episodio, La Goccia D’acqua di Cechov, vede una medium tornare dall’aldilà per vendicarsi del furto del suo anello da parte dell’infermiera, venuta a vestirla sul letto di morte. Il volto del cadavere, contratto in un’eterna smorfia, rimane forse il momento più kitsch di tutta la pellicola ma, a conti fatti è anche quello più suggestivo. Il suono ipnotico della goccia che cade nel lavandino, il temporale e gli ambienti gotici delle antiche dimore dai soffitti alti formano un quadro perfetto, affascinante e inquietante.
Ma è soprattutto la sottile ambiguità che serpeggia a farci chiedere se ciò che vediamo sia reale o frutto del rimorso della protagonista, rinvenuta cadavere il giorno seguente con le braccia serrate sulla propria gola.