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IN THE FLESH - recensione

Titolo: IN THE FLESH
Titolo originale: IN THE FLESH
Regia: Dominic Mitchell
Interpreti: Luke Newberry, David Walmsley, Harriet Cains, Emily Bevan, Steve Evets, Kenneth Kranham
Anno: 2013

Un’invasione di morti viventi ha costretto una gran parte della popolazione inglese a militarizzarsi. Dopo il periodo degli scontri (che non viene mostrato se non in brevissimi flashback) il Governo ha trovato una cura per gli affetti dal morbo. Gli ex-zombie, o, se vogliamo essere politically correct, gli affetti da PDS (“Sindrome di Parzialmente Deceduto”) saranno liberi di tornare alle loro case dopo un periodo di trattamento medico, obbligati a seguire una terapia farmacologica. Se non vogliono disturbare i familiari e gli amici col loro aspetto, basta che ricorrano al makeup: fondotinta per coprire la pelle sbiancata e lenti a contatto per nascondere le inumane pupille “da morto”. Il problema è: come reagiranno al loro ritorno gli appartenenti al gruppo paramilitare HVF, i redneck fanatici della difesa armata dell’umanità, che si ostinano a chiamarli con l’infamante nome di “rotter”? Essere un PDS a Roarton, nel paesino in cui è ambientata la vicenda, non è molto diverso dall’appartenere a un’etnia o a una minoranza perseguitata in un paese fascista. Nel cuore della notte squadre di uomini armati possono venire a perquisire la casa dove ti nascondi, portarti fuori di peso, freddarti sul vialetto con un colpo alla nuca.

 

Le puntate di In the flesh rimangono sempre sopra ai livelli minimi qualitativi. L’idea di utilizzare i morti viventi per narrare una parabola su integrazione e discriminazione funziona, nonostante il tema non sia originalissimo e non venga neanche sviluppato in modo geniale. Non mancano gli spunti di riflessione né i momenti di tensione; a volte affiora anche un po’ di humour. Le scene splatter latitano.

 

I principali difetti della serie sono probabilmente collegati alla sua estrema brevità (solo tre puntate). In così poco spazio il regista è impossibilitato a mantenere tutte le promesse che implicitamente aveva fatto agli spettatori: attraverso gli zombie avrebbe dovuto parlare di esclusione, fondamentalismo, omosessualità, paranoia, amore, guerra, famiglie, trasgressione, suicidio. Molti di questi temi restano appena accennati, o danno origine a sottotrame interessanti che vengono lasciate in sospeso. Anche i personaggi, introdotti in modo efficace, non vengono sempre sviluppati come meriterebbero.

 

In the flesh lascia una forte sensazione di avere a che fare con qualcosa di incompiuto. Probabilmente (così si augurava in un’intervista l’ideatore della serie) verrà girata una seconda stagione; in questo caso, forse, il nostro giudizio complessivo migliorerà.



scritto da: Andrea Berneschi


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