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PACIFIC RIM - recensione

Titolo: PACIFIC RIM
Titolo originale: Pacific Rim
Regia: Guillermo Del Toro
Interpreti: Charlie Hunnam, Idris Elba, Rinko Kikuchi, Ron Perlman, Burn Gorman, Max Martini
Anno: 2013

Ora che PACIFIC RIM non è più nelle sale, e il clima di isteria che ha generato tra chi si occupa di recensioni si sta calmando, possiamo parlarne in modo oggettivo. L’ultima fatica di Guillermo Del Toro non ha “rivoluzionato la nostra concezione di cinema fantascientifico”, come in molti sostenevano (basta cercare qua e là su Google). La cosa non ci stupisce: bisogna essere delle anime candide per aspettarsi la rivoluzione da un film costato 190 milioni di dollari, e che ne deve incassare almeno altrettanti (per colpa di una campagna promozionale non eccelsa il film non ha avuto i risultati previsti, ma si parla comunque di un ricavo di oltre 400 milioni di dollari, tra quello delle proiezioni negli USA e quello degli altri paesi). PACIFIC RIM, a conti fatti, non è neanche il solito blockbuster senz’anima. Cosa è, dunque? È un bel film di mostri. PACIFIC RIM è un modello imprescindibile che dovrà tener presente da oggi in poi chiunque voglia rappresentare esseri che emergono dal mare per distruggere grattacieli.

 

Nel fondale dell’Oceano Pacifico si apre un passaggio interdimensionale dal quale emergono mostri giganteschi (i kaiju) che attaccano e distruggono le città sulla costa. L’umanità in un primo momento accusa il colpo, poi radunando le risorse che ha a disposizione crea gli Jaeger: grandi robot da combattimento guidati da coppie di piloti in “collegamento neurale”. Questa è la storia, molto semplice. A chi è cresciuto negli anni ’80 riporterà alla mente tutta una serie di cartoni animati che vedevano grandi robot sfidare mostri inviati da popolazioni aliene (Goldrake, Jeeg, Daitarn 3, Mazinga): proprio questi, più dei film su Godzilla di Ishiro Honda, sono il diretto referente dell’omaggio di Del Toro.

 

La bellezza di PACIFIC RIM la si può apprezzare solo se si accettano alcune sue caratteristiche. Oltre ad essere un blockbuster (bisogna dunque prepararsi a sorbire l’ennesima superficiale storia d’amore, l’ennesimo discorso patriottico, i soliti personaggi che non si scostano dallo stereotipo) è un film per famiglie. Cosa significa questo sul piano concreto? Per esempio, che per tutta la durata del film si vedono solo due gocce di sangue (una volta in bianco e nero). O anche che, se un mostro gigantesco nelle prime inquadrature fa crollare un ponte e fa cadere in mare delle auto, dentro queste non si vede nessuno (chi le guidava?). Insomma, non è Cloverfield: più che spaventare, intende emozionare, stuzzicare il nostro “senso del meraviglioso”, farci tornare bambini per due ore.

 

Ci riesce, perché è girato con passione. Non è un caso che i giapponesi per primi (e lo stesso maestro Go Nagai) se ne siano dichiarati entusiasti. Del Toro utilizza uno scenario che sembrava ormai morto e sepolto, quello “mostri contro robot”, e con arti negromantiche gli infonde nuova vita, lo fa stare in piedi di nuovo, gli rianima il cuore. Non stiamo guardando lo stantìo Godzilla di Roland Emmerich. Quando il mostro si alza dal mare, noi sentiamo che è reale, o che potrebbe esserlo. Quando sfida i robot degli umani, sentiamo che quel mostro è la disoccupazione, è la crisi economica, è l’assurdo, è qualunque cosa minacci di distruggere le nostre città, e godiamo nel vederlo prendere a legnate. Il conflitto è elementare e ridotto ai minimi termini, come nel wrestling, ma funziona.

 

Chi non sopporta i robot di Transformers stia tranquillo, qui si potrà godere dei mecha dal design essenziale e credibile. I kaiju sono belli (qualcuno ha tirato in ballo anche influenze lovecraftiane, ma è un paragone abbastanza gratuito). Soprattutto, ce ne sono sette diversi, e si prendono a mazzate con cinque robot differenti! Se si tenta di fare un film (per famiglie) di giganti che si affrontano distruggendo palazzi, è pressoché impossibile che ne venga uno migliore.

 

Peccato che dall’epica dei kaiju eiga Del Toro non abbia provato a trarre un film con ambizioni maggiori. Immaginiamo per un attimo cosa sarebbe stato: psicologie dei piloti degne dei soldati di Full Metal Jacket, una trama da film d’azione che sappia essere complessa, magari tarantiniana… Riutilizzare i film di “robot contro mostri” per fare un film d’autore sarebbe stata un’operazione postmoderna spettacolare. Ma certe cose resteranno solo un nostro sogno, temo: cosa vogliamo pretendere quando ci sono così tanti soldi in ballo? Già ci basta, però, che Pacific Rim riesca ad appassionare e a divertire.



scritto da: Andrea Berneschi


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