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CATENE DI EYMERICH (LE) - recensione

Titolo: CATENE DI EYMERICH (LE)
Titolo originale: Catene Di Eymerich (Le)
Regia: Valerio Evangelisti
Interpreti:
Anno: 1995

1365, sede papale di Avignone: Urbano V convoca Nicolas Eymerich per parlargli di un’importante missione che intende affidargli. Dalla Valle d’Aosta giungono notizie sulla sopravvivenza in alcuni villaggi dell’eresia catara (che tutti credono scomparsa da almeno un secolo, dai tempi della “crociata contro gli Albigesi”) e su avvistamenti di mostruosi esseri semiumani. L’inquisitore dovrà quindi recarsi a Chatillon, nei possedimenti di Amedeo VI di Savoia, il “Conte verde” e qui mettere all’opera la sua logica implacabile e la sua dimestichezza con i fenomeni che recano l’impronta, vera o presunta, del Maligno.

 

In parallelo con questa storia ne scorre un’altra, ad essa collegata, che si svolge in più periodi e più ambientazioni nel corso del Novecento, seguendo gli sviluppi di una misteriosa e proteiforme organizzazione chiamata RACHE. Si parte dagli esperimenti genetici condotti dallo scienziato Jakob Graf per il regime nazista; si prosegue in Romania dopo la caduta di Ceausescu, alla scoperta dei laboratori sotterranei che la moglie del dittatore aveva allestito per generare corpi umani privi di volontà; si seguono le prodezze di un gruppo di naziskin inglesi invischiati in affari più grandi di loro; si finisce in una clinica sudamericana in cui vengono prodotti bambini poliploidi, con quattro reni, due cuori, quattro polmoni, come serbatoi di organi per trapianti.

 

I romanzi del ciclo di Eymerich non necessitano di una lettura in ordine cronologico, ma sono godibili anche singolarmente, come avviene per le avventure di altri investigatori (Sherlock Holmes, Philip Marlowe) o indagatori dell’incubo (John Silence, Carnacki). Anche le sue avventure utilizzano le forme della narrativa di tipo seriale, fondendo al giallo e all’horror il romanzo storico e, a volte, quello fantascientifico. All’interno del genere (o dei generi), i lavori di Evangelisti spiccano per originalità: non puntano su effetti volti alla facile soddisfazione del lettore, ma sulla psicologia dei personaggi, sulla cura delle ambientazioni storiche, sull’invenzione di elementi orrorifici sempre nuovi e inquietanti.

 

Questo è il secondo romanzo che Evangelisti dedica alle gesta del frate catalano, ma è il settimo se guardiamo all’ordine cronologico degli eventi. Rispetto a “Nicolas Eymerich, Inquisitore”, primo del ciclo, l’autore ha affinato i suoi strumenti espressivi: oltre alla consueta ottima ambientazione medievale ci regala una storia parallela veramente nera, quella della RACHE e del traffico degli organi, con immagini e idee che colpiscono nel segno e saranno sicuramente apprezzate dagli estimatori di Cronenberg e Ballard.

 

Eymerich, che nel primo romanzo aveva trentadue anni ora ne ha quarantacinque: è dunque “nel mezzo del cammin” della sua vita, sempre pieno di energia e di arguzia, ma forse più pessimista, meno sicuro della giustizia del suo operato. La sua psicologia si complica e si arricchisce di nuove sfumature."Eymerich odiava il sangue e il cagionare sofferenze non gli dava alcun piacere. Qualche volta però, si sentiva squassato da impulsi aggressivi quasi incontrollabili, che lo lasciavano stupito e vagamente umiliato. A ciò rimediava, per quanto possibile, con il ricorso a una logica ferrea, che affogava il senso di colpa per la violenza esercitata nel sentimento di avere compiuto il proprio dovere al servizio di Dio. Ma se ciò lo rinfrancava, non riusciva ad annullare un certo intimo turbamento, il cui corollario era una sorta di identificazione con le proprie vittime”.

 

L’inquisitore inizia a prendere coscienza della sua doppiezza. Il suo ruolo lo condanna a combattere chi in fondo gli sta simpatico (Semurel, l’aristocratico che si dedica alla protezione dei poveri e dei deformi) e a ricercare l’aiuto strategico di chi disprezza (la borghesia di Chatillon, che ha per soli moventi l’interesse e la “paura del diverso”), ad essere un inflessibile difensore della Chiesa e dell’ordine, ma a lasciare dietro il suo passaggio solo violenza e morte. Quando alcuni eretici lo chiamano “San Malvagio” arriva a soffrire fisicamente dell’ingiuria, forse perché vede quanto questa gli aderisca alla perfezione, quanto rispecchi la sua natura di ossimoro. Ma ciò non basta a distoglierlo dalla sua missione. Dovrà professare la possibilità di una purificazione dell’animo degli uomini, ma sfruttare per i fini della Chiesa i meccanismi della loro onnipresente malvagità. Dovrà lottare contro la propria compassione, contro il disgusto per sé stesso e per gli altri e continuare a reprimere eresie in un mondo cupo, nel quale non è certo che esista Satana, ma si fatica a credere che ci possa essere un Dio.



scritto da: Andrea Berneschi


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