
Titolo: HOSTEL
Titolo originale: Hostel
Regia: Eli Roth
Interpreti: Jay Hernandez, Barbara Nedeljakova, Derek Richardson, Eythor Gudjonsson, Jan Vlasák, Jana Kaderabkova, Keiko Seiko
Anno: 2005
HOSTEL è diviso in due parti ben distinte, delimitate da un taglio netto che ricorda non poco il Wolf Creek di Greg Mc Lean. Dopo una prima parte lieta e spensierata, i protagonisti precipitano in un incubo angosciante, che culmina in un delirio di orrori che non risparmia niente e nessuno.
Il paradosso, considerando il modo in cui era stato presentato al pubblico e alla stampa, è che il film delude maggiormente proprio nella seconda parte, quando cioè il gore prende il sopravvento e lo splatter esplode in tutta la sua ferocia. Anzi, più che esplodere implode: perché l’ultima mezz’ora, tra dita mozzate, teste decapitate, trapani e seghe elettriche, chiodi e ruscelli di sangue, imbocca ben presto la strada dell'ovvietà senza più uscirne.
C’era molta attesa per HOSTEL, l’uscita horror più importante dell'inizio 2006, che ha potuto usufruire di un’imponente operazione di marketing al momento del lancio sul mercato. Descritto come prodotto sconvolgente, insopportabilmente gore, inadatto agli stomaci deboli e trainato dal volto carismatico di Quentin Tarantino (produttore esecutivo e soprattutto vero e proprio sponsor della pellicola), HOSTEL è balzato in testa al box office statunitense, creando attorno a sé un alone di interesse e di sicuro guadagno.
Capita però che una campagna pubblicitaria martellante non serva, o non sia sufficiente, a dar luogo a risultati apprezzabili. Succede spesso ed è capitato anche con HOSTEL, che pur disponendo di spunti interessanti, risulta complessivamente insufficiente e ben lontano dalla crudezza stilistica tanto sbandierata in suolo americano.
Tre ragazzi viaggiano per l’Europa alla ricerca di divertimento e sesso facile, dando la caccia a procaci e disinibite fanciulle, in un universo in cui la droga, l’alcool e il sesso trascendono i confini del tempo e dello spazio.
Dagli States all’Islanda, dalla Francia all’Olanda, fino a Bratislava, dove ingannati da torbide e splendenti bellezze dell’Est, i tre finiscono in un incubo di follia primordiale, in cui gente (apparentemente) comune paga profumatamente per poter dare sfogo a istinti bestiali repressi, usando la tortura come folle strumento di piacere, senza limiti e senza remore.
HOSTEL è sboccato, volgare, dominato dalla presenza di attrici quasi sempre nude, all'interno di una confezione che arriva a sfiorare il soft-core. Roth lascia da parte la fantasia creativa per concentrarsi sulla libidine dei protagonisti e sul loro continuo bisogno di accoppiarsi. Ma non tutto è da condannare: il regista di Boston (all’opera seconda dopo l’ottimo Cabin Fever) ha certamente talento, perché pur navigando nel mare della banalità riesce a creare un'atmosfera totalmente malata,
Gli effetti speciali dell’esimio Greg Nicotero e di Howard Berger sono realizzati con poca fantasia e spesso si avverte la fastidiosa sensazione di assistere a una copia carbone di tanti altri horror. La maggior parte degli atti di tortura hanno luogo fuori dal nostro campo visivo, lasciando così spazio all'immaginazione. In un certo senso, questa scelta delude, perché HOSTEL prometteva ben altro.
Un’occasione persa, un peccato, un’opera incompiuta: nonostante gli sforzi di Tarantino è difficile non riuscire a ammettere che ci troviamo di fronte a un mezzo fallimento. Si salva qualche sequenza azzeccata (in particolare una, realmente disgustosa, che vede protagonista una ragazza asiatica e il suo occhio) e il gustoso cameo di Takashi Miike.
HOSTEL non ha la cattiveria devastante di Wolf Creek, non ha la straordinaria vitalità anarchica de La Casa Dei Mille Corpi e The Devil's Rejects, non sa descrivere i tratti più intimi della tortura come lo splendido Audition dello stesso Miike e non ha la sincerità di Cabin Fever. E soprattutto, difetto ancor più grave, non sconvolge affatto. Le vere emozioni vanno cercate altrove.