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DEXTER - recensione

Titolo: DEXTER
Titolo originale: Dexter
Ideatore: James Manos, Jr.
Anno: 2006

Miami è una città affacciata sul mare; l’aria è così torrida che anche i sergenti di polizia più seri sono costretti ad andarsene in giro con camicie hawaiane a maniche corte. C’è la spiaggia, dove nei giorni di festa le famiglie si mettono in fila a prendere il sole, c’è la stazione di Polizia (probabilmente dotata di ottimo impianto di aria condizionata), si vedono gli interni di varie abitazioni, attici eleganti, appartamenti o baracche isolate, circondate da recinti, parcheggi, campi da basket.  Di giorno è l’afa a dominare, un cielo senza nuvole incombe terribile. In effetti, siamo vicini ai Caraibi.

 

Di notte la situazione cambia del tutto. Nel fresco che pian piano sale, la gente prende la macchina, esce, gira per la città. Ci sono dei locali, si suona, si balla, si bevono cocktail. Non è un problema la mescolanza di etnie nella città: bianchi, latinos, neri, persino qualche asiatico, convivono abbastanza pacificamente. Se si balla, la musica è ispanica.

 

Il problema è che di notte spesso succede qualcosa che non dovrebbe accadere, perché la mattina, alle prime luci dell’alba, quando ancora l’aria è fresca, la polizia trova spesso delle cose su prati, campi da tennis, parchi giochi per bambini. Quelle cose sono esseri umani o quel che ne resta, a volte tagliuzzati, a volte dissanguati; oppure, semplicemente, morti. Nelle notti di Miami circola un numero molto alto di predatori e la Polizia ha sempre un gran lavoro da sbrigare.

 

Dexter Morgan è un tecnico della scientifica (quello che si occupa di studiare la traiettoria degli schizzi di sangue sui luoghi dei delitti), ma ha un segreto: è anche lui un predatore, è uno a cui diverte molto impacchettare nel cellophane le persone, farci due chiacchiere (di cose che riguardano la sua vita, come se parlasse a un diario) e poi ammazzarle, in un modo abbastanza pulito, una coltellata al cuore e via. Solo che si è dato un codice di comportamento: lui ammazzerà solo chi “se lo merita”, solo chi ha ucciso ed è sfuggito alle maglie della legge.

 

Dunque, chi è Dexter? In breve, è un serial killer di serial killer. Ma questa definizione cosa significa? È una delle nuove incarnazioni del giustiziere americano, del vigilante, del braccio violento della legge? Forse no. Lui obbedisce solo ai suoi impulsi, non sta tanto a raccontarsela su quanto il suo operato renda migliore la società. La sua non è tanto una crociata, quanto una soluzione pragmatica, il compromesso migliore che ha trovato tra il modo in cui lui vorrebbe vivere e le regole della società in cui vive.

 

I suoi impulsi tra l’altro sono difficilmente controllabili: a volte quando esamina i luoghi dei delitti si sente quasi inebriato dal sangue che vede. E’ un “superuomo di massa”, nel quale lo spettatore si può riconoscere sentendosi per una mezz’ora un essere superiore, al di sopra del bene e del male? Non solo, o meglio: non esattamente, anzi, spesso in lui, che deve far finta di essere “normale”, di essere uno dei tanti, predomina più il Clark Kent che il Superman.

 

Dexter, in definitiva, è un soggetto perfetto per una serie televisiva:  da un parte indaga (a modo suo), sia dentro che fuori dalle maglie della legge, dall’altra è costantemente indagato, sotto la minaccia di essere scoperto. L’investigatore è investigato e così il giallo raddoppia. La serie è molto godibile, presenta buoni intrecci (tranne che nella pessima sesta stagione) e dialoghi credibili, ma quello che nuoce è proprio la sua eccessiva “serialità”: i personaggi hanno psicologie convenzionali e all’inizio di ogni stagione, per quante ne succedono, le lancette dell’orologio è come se tornassero al punto di partenza. 

 

Si guardi pure DEXTER se si ha voglia di suspense, divertimento, se si vuol sentir scattare nel momento giusto i meccanismi della trama e se c'è la voglia di sangue, fughe e vendette. Ma se si cercano personaggi tridimensionali e credibili, nonché una credibile continuity, è meglio rivolgersi altrove (Breaking Bad in primis).



scritto da: Andrea Berneschi


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