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David Cronenberg chiude il cerchio con "Crimes of the Future" (recensione)

L'umanità sopravvive in un mondo squallido, tra relitti di navi arenate e palazzi antichi ricoperti da graffiti. Ovunque sporcizia, ruggine e corruzione. Nelle case ci sono elettrodomestici dal design di insetto, dotati di software complessi, che aiutano i cittadini a svolgere le più elementari funzioni (dormire, fare colazione, etc.)

Sembra lo scenario de Il Pasto Nudo (1991), ma non lo è. Siamo oltre, nel futuro della nostra specie. Un futuro in cui gli esseri umani non sentono più dolore (è diventata una sensazione rara e ricercata) e non temono le infezioni. Il sesso è strettamente connesso alla possibilità di ferire, o di ferirsi. E le mutazioni, artificiali o spontanee, sono sempre più diffuse.

Saul Tenser (Viggo Mortensen) e Caprice (Léa Seydoux) operano nel mondo dell'arte. Il corpo di lui produce periodicamente nuovi organi, lei glieli estrae in pubblico nel corso di una performance usando una vecchia macchina (simile nella forma al carapace di un coleottero) che un tempo veniva usata per le autopsie. Gli organi devono essere registrati presso un apposito ufficio pubblico, che è situato, come da tradizione kafkiana, in un palazzo fatiscente e polveroso. Nel frattempo, un bambino viene ucciso dalla madre perché trovato a mangiare plastica e reputato per questo non-umano.

 


Crimes of the Future non è un film per tutti. Non mi stupisce leggere che durante le proiezioni alcuni spettatori abbiano abbandonato la sala, pure a Cannes. È successo anche ieri, lo confermo, nel folkloristico Cine8 di Montevarchi (nota di infamia per Uci Cinema: questo film nella ridente città di Arezzo non è nemmeno in programmazione, neanche il sabato alle due di notte, come era accaduto per altre pellicole).

Crimes of the Future non è per tutti perché ha al suo centro la carne, la malattia, la mutazione. E affronta questi temi nel modo più disturbante possibile. Per il resto ha la forma di un noir o di una storia di spionaggio, solo che è ambientato in un universo in cui le coordinate che conosciamo saltano o stanno per saltare.

 


Veniamo ora allo scopo di questa recensione.

Qui non stiamo certo a fare le pulci a Cronenberg. È anche grazie a lui se ci siamo appassionati al genere horror, se oggi è possibile realizzare un certo tipo di film e affrontare certe tematiche. E si tratta di un autore che, andando avanti con gli anni, sa sempre quello che fa.

Nemmeno siamo qui per trovare ogni connessione di questa pellicola con gli altri del regista, e sì che ci sarebbero da dire diverse cose. A partire dal titolo. Che è lo stesso  di un film del 1970, con trama diversa ma appartenente alla stesso corpus di opere; su Imdb, inoltre eXistenZ (1999) è indicato come “eXistenZ” aka "Crimes of the Future".

 


Una recensione come questa, per me, dovrebbe soprattutto servire a chi legge per capire di che tipo di film si tratta. E dare qualche consiglio sull'uso che se ne può fare. 

Nel marasma di internet del 2022, infatti, bisogna ripartire dalle basi.

 


Permettetemi dunque di essere brutale e diretto.

 


Volete un action movie? Probabilmente Crimes of the Future non fa per voi. Meglio dedicarsi ad altro, stasera.

Siete alla ricerca di un film pieno di tensione e adrenalina? Che vi tenga incollati gli occhi allo schermo e vi dia qualche brivido? Spiacente, avete sbagliato. (A proposito, mica vi sarete persi Nope?)

Volete un film weird di cui parlare per mesi, da inserire nello scaffale accanto a tutti i vostri film preferiti di Miike e Tsukamoto e Lanthimos? Fuochino. Cronenberg stavolta non è qui per dare spettacolo. Il suo scopo non è quello di intrattenerci, o semplicemente di turbarci. Non è qui per fare lo strano.

 


Crimes of the Future è nella mente di Cronenberg da vent'anni. Doveva uscire nel 2006 col titolo Painkillers, con Ralph Fiennes come protagonista, a poca distanza da eXistenZ e dagli altri film appartenenti alla parte più tipica della produzione del regista. È rimasto dentro le circonvoluzioni cerebrali dell'autore per tutto questo tempo. E adesso il progetto è compiuto, in tutte (quasi) le sale del pianeta. Serve a Cronenberg per chiudere il cerchio su quella serie di film (potremmo discutere quali inserire e quali no) nei quali ha dato il meglio di sé e per i quali sarà ricordato nella storia del cinema. Film che partono dalle suggestioni di autori come J. G. Ballard, William S. Burroughs e prima ancora da Kafka e probabilmente Lovecraft, e le sviluppano in un percorso immaginifico e filosofico, che non è compito di questa recensione spiegare.

(Diciamo solo che l'autore da cui consiglio di partire per un eventuale approfondimento è proprio Ballard, con la sua visione di un futuro in cui i cambiamenti più grandi avverranno all'interno dell'uomo, nella mente: ognuno sarà libero di esplorare la propria psicopatologia, immaginando da capo il rapporto col mondo che lo circonda, col dolore, il sesso, il tempo, il proprio corpo. Crash l'avete visto, no?). 

 

 

Senza fare spoiler possiamo dire che in Crimes of the Future il regista affronta le tematiche centrali della propria produzione aggiornandole in chiave ecologica e immaginando per la nostra specie una nuova fase di evoluzione. Non si tratta di una distopia senza scampo: c'è una via d'uscita. Per raggiungerla non dovremo fare affidamento sulle leggi, sulla nostra ragione o sulla tecnica. Non ci guiderà la spiritualità o la paura della morte. Dovremo solo seguire i desideri della carne.

 


Non sarà l'ultimo film del settantasettenne Cronenberg (che ha già annunciato il prossimo, The Shrouds, le cui riprese inizieranno a Marzo 2023) ma Crimes of the Future ha comunque il sapore di un testamento estetico e spirituale. E anche etico, specialmente se pensiamo alle ultime scene. Quindi, ragazzi, giù il cappello.

 


Capisco gli spettatori che dicono: “Mi aspettavo un film più grintoso, più sconvolgente, un film diverso”. Li capisco ma li metto in guardia dal trattare Cronenberg come un regista che abbia ancora bisogno di dimostrarci qualcosa. O a cui possa fregare niente del punteggio in stelline che gli assegniamo.

Ogni inquadratura che vediamo sullo schermo è passata attraverso gli occhi dell'uomo che quarant'anni fa, quando portavamo il grembiule delle elementari, tirò fuori dal cappello Scanners e Videodrome e tanta altra bella roba. E da allora non ha sbagliato niente, cinematograficamente parlando.

Detto in altre parole: il corpus dei film di Cronenberg non può essere analizzato e giudicato se non nella sua complessità. Uno può preferire i canti dell'Inferno a quelli del Paradiso, ma chi si dirà addirittura deluso da come Dante ha terminato la sua Commedia?



scritto da: Andrea Berneschi, 27/08/2022


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