THE BODY SNATCHER - rubrica di Andrea Gibertoni. Oggi parliamo di "Dimensione terrore"

“Ho notizie buone e cattive per voi, ragazze. Le buone: i vostri ragazzi sono arrivati.”
“…e le cattive?”
“Sono morti.”
Siamo su un’astronave aliena, dove alcuni strani esseri che sembrano usciti da un bislacco sogno fatto da un Carlo Rambaldi ubriaco si inseguono in corridoi claustrofobici un po’ alla Alien e sparandosi dietro con fucili al laser.
Uno degli inseguiti trasporta qualcosa di importante all’interno di un cilindro e, pur di non farlo cadere in mano nemica, lo catapulta fuori nello spazio. Seguiamo brevemente il tragitto della capsula con il suo misterioso carico che, si intuisce bene, è diretto verso un piccolo pianeta azzurro...
Cambio scena.
1959, Stati Uniti.
Immagini in bianco e nero, i Platters ugolano la celebre Smoke gets in your eyes mentre un ragazzo con auto scappottata, giacca del liceo e brillantina d’ordinanza sta andando a prendere la propria girlfriend al dormitorio femminile.
La coppietta si reca al consueto posto dove è solita appartarsi quando, a un tratto, il cielo notturno è solcato da un bagliore improvviso che termina la propria corsa in un boschetto poco distante. Naturalmente il ragazzo vuol dimostrare alla propria bella di non aver paura di nulla e decide di andare a controllare nonostante gli scongiuri di lei (“Johnny, torniamo al nostro posticino? Lascerò anche che mi tocchi il seno…”). L’autoradio nel frattempo ha interrotto Paul Anka e la sua dolcissima Put your head on my shoulder per avvisare la cittadinanza che un pazzo omicida è fuggito dal manicomio locale dopo aver massacrato quattro infermieri a colpi di ascia. E chi è che si sta avvicinando alla macchina – guarda un po’ - con una grossa scure in mano?
Intanto il nostro Johnny è arrivato nei pressi dell’oggetto luminoso che ovviamente si scopre essere il cilindro lanciato dall’astronave nella scena iniziale, e ne rimane affascinato. Improvvisamente però il vetro della capsula si infrange e un essere simile a un lumacone nero gli entra dritto in bocca.
Altro stacco.
Stavolta siamo nei coloratissimi anni ottanta nel pieno di una di quelle feste scatenate da college di cui è piena certa cinematografia, da Animal House in giù.
Due adolescenti che non rientrano nell’élite delle confraternite passeggiano in strada e si lamentano delle proprie disavventure amorose quando a un tratto uno di loro rimane folgorato dalla visione angelica di una ragazza che però, dannazione, sta entrando proprio nella sede dei “Beta”, ovvero i classici supersportivi muscolosi ma non proprio sveglissimi. Uno dei due, il timido e impacciato Chris ROMERO (attenzione ai cognomi), si prende una tremenda sbandata per la bella e sfuggente ragazza (che scopriremo chiamarsi Cindy CRONENBERG) e pertanto decide di voler entrare a far parte di un’associazione studentesca in modo da poter attirare finalmente la sua attenzione. Ma c’è un però: per essere ammessi nei “Beta” bisogna sottoporsi a una prova di iniziazione. Nello specifico, rubare un cadavere criogenicamente conservato all’interno del laboratorio dell’istituto. Un cadavere che viene studiato fin dal 1959…
E qui mi fermo perché ora viene il bello e non voglio per niente al mondo togliervi il piacere di scoprire da voi cosa succede in seguito. Sì perché, sebbene a questo punto di carne sul fuoco ce ne sia già un bel po’, in realtà non siamo nemmeno arrivati a un terzo della storia. E il resto – beh – va guardato, perché si tratta del miglior modo di godersi al meglio questo caleidoscopico minestrone che miscela e al tempo stesso omaggia circa 30 anni di cinema di genere: dalle varie declinazioni di horror (zombie movie, slasher) ai film di fantascienza di serie Z fino alle cosiddette teen comedy e con addirittura una spruzzatina di noir.
Night of the Creeps (tradotto in italiano col meno efficace Dimensione terrore) è l’esordio alla regia di quel Fred Drekker che in seguito dirigerà Scuola di mostri e Robocop 3, e che qui si diverte un mondo a mettere in scena tutto il meglio del cinema con cui è cresciuto, infarcendo la storia con continue citazioni e rimandi; quasi come a voler giocare con lo spettatore, invitandolo a scoprire tutti gli indizi sparsi qua e là (e ce ne sono veramente una moltitudine).
Drekker, pur non prendendosi troppo sul serio, riesce comunque a confezionare una pellicola in cui traspare distintamente la sua smisurata passione e tratta la materia con grande rispetto, trovando persino il modo di infilarci un brevissimo (ma riconoscibilissimo) stralcio del mitologico Plan 9 From Outer Space del “Re dei b-movie” Ed Wood.
Il cast è composto quasi esclusivamente da attori giovanissimi oppure da consumati caratteristi come Tom Atkins (già apparso nei carpenteriani The Fog e 1997: Fuga da New York) nel ruolo del detective Cameron, vero mattatore del film. Da segnalare poi, oltre al protagonista interpretato da Jason Lively, il simpatico Steve Marshall nei panni dell’amico del cuore C.J., e una splendida Jill Whitlow (Cindy) che, nonostante un’interpretazione che non resterà certo negli annali, è talmente graziosa che sarebbe da sposare DOMATTINA.
Il film, nel caso non si fosse capito, non ha particolari ambizioni se non quella di intrattenere e divertire, facendo passare un’oretta e poco più di piacevole svago al pubblico.
Obiettivo questo che viene centrato in pieno visto che, a distanza di tanto tempo, Dimensione terrore continua ad essere apprezzato non poco, avendo ormai raggiunto in patria lo status di vero e proprio film di culto.
In Italia ovviamente la situazione è un po’ differente, ma so che anche qui la pellicola con la quale Drekker esordì nel lontano 1986 è comunque riuscita a fare breccia in diversi cuori, anche grazie alla ricercata edizione home video (la versione Dvd ad oggi non è ancora stata realizzata) che presenta ben due finali alternativi.
Questa rubrica nasce con lo scopo di puntare la luce su quei film che, per vari motivi, sono finiti – spesso ingiustamente – un po’ nel dimenticatoio. Nel caso di Dimensione terrore, quindi, non è che si possa parlare di un vero e proprio oblio, però è senza dubbio un’opera particolare che credo meriti di essere vista (o rivista) soprattutto perché appartiene ad una categoria di film da rivalutare. Grazie al recente bombardamento a base dei più disparati programmi a tema gastronomico infatti, abbiamo ormai familiarizzato col termine comfort food, che starebbe a indicare tutti quei piatti che – pur non apparendo mai sui menù dei ristoranti stellati – hanno comunque l’indiscussa capacità di donare un certo benessere a chi li consuma.
Ebbene, stando a questi parametri, possiamo ascrivere definitivamente Dimensione terrore alla categoria dei comfort movie, e questo alla faccia dei Cracco e dei Bottura dell’horror, che spesso tendono a guardare produzioni simili con un po’ di puzza sotto il naso.
"Stupiscimi!" (cit.)